Io sono un migrante, vivo a Berna, in svizzera, e non sono troppo distante dal mio paese in Piemonte. Volendo, a piedi, potrei metterci tre giorni a raggiungerlo. Ho una casa, un visto che mi da accesso al lavoro. Tuttavia non parlando bene il tedesco ho provato il peso della barriera linguistica. Il mio essere migrante soffre di piccoli disagi che mi fanno capire meglio i drammi di chi ha lasciato la sua terra affrontando disagi maggiori.
Avendo vissuto in Finlandia, in USA, in Irlanda e in Svizzera ho potuto osservare l’Italia da una prospettiva diversa, e non è bello vedere la tua patria perdere umanità. In Italia si parla di invasione di africani, di islamici e di cinesi, ed io migrante mi dovrei sentire in colpa per aver tentato di invadere la Finlandia, gli USA, l’Irlanda e la Svizzera?
L’ipocrisia italica meriterebbe una vera invasione, quella degli oriundi italici, che sono così tanti, che non li si riesce a contare, le stime parlano di 60-80 milioni.
-Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce [Lao Tzu ].
Ultimamente, guardando il bel Paese, mi sono assopito, quasi ipnotizzato dal vociare convulso ad alto volume delle strade, dei social, dei bar e degli amici. Si tende ad ascoltare solo chi fa più rumore. Avevo l’impressione che tutti urlassero all’unisono gli stessi slogan e che non vi fossero voci fuori dal coro.
Partecipando al campo “Io Ci Sto” mi sono risvegliato dal torpore! Il campo vuole sensibilizzare i partecipanti affrontando il tema della migrazione, partendo dal nocciolo della questione ovvero l’uomo visto come essere capace di umanità.
“Io Ci Sto” affronta il problema del caporalato alle sue fondamenta, fornendo strumenti ai migranti:
la scuola di italiano fornisce la voce ai migranti per protestare, raccontare, accordarsi e partecipare.
la ciclofficina che rende i braccianti capaci di muoversi in autonomia senza dover scendere a compromessi per andare al lavoro.
Mi hanno risvegliato sia i partecipanti che gli organizzatori, con parole ed esempi di accoglienza verso i migranti, semplicemente con sorrisi, abbracci ed umanità.
Mi hanno risvegliato i migranti, con la loro speranza e con la loro voglia di lottare per un futuro migliore.
Questa settimana, condivisa con gli altri, mi ha donato molto, soprattutto la consapevolezza che la gente non e’ massa, ma c’è chi pensa, chi si indigna e fortunatamente chi riconosce negli altri l’individuo, l’uomo.
Scoprire la bellezza e la forza dei giovani, pieni di sentimenti e ideali e’ stato come tornare a vedere la foresta che cresce di cui si erano persi ricordo e percezione.
-Il confine che non si vede.
Finito il campo, prima di tornare a casa , a Berna mi sono ricongiunto con moglie e figli a Macugnaga, il paese dove sono cresciuto. Partito a piedi con la famiglia mi sono diretto verso il confine tra Italia e Svizzera per percorrere un bel sentiero che porta appunto da uno stato all’altro. Al valico del Monte Moro, il confine non si vede e non esiste, il confine e’ una invenzione disumana.
Scesi dal passo verso la ricca Svizzera siamo giunti alla diga di Mattmark che con la sua acqua gelida, è una tomba dove riposano tanti migranti, non tanti come nel mediterraneo, solamente 88 di cui 56 italiani. Morti sotto una valanga di ghiaccio che ha sepolto le baracche del cantiere nel 1956 durante la costruzione della diga.
La storia insegna, ma a volte siamo ciechi e sordi, la diga di Mattmark e’ diventata per la Svizzera un monumento amaro; allo stesso tempo Il mediterraneo, che già accoglie molti corpi, non merita di diventare il simbolo del fallimento dell’Italia e dell’Europa.
Secondo il famoso Matteo, non ricordo, forse in un comizio, forse da una spiaggia, Lui disse ai suoi followers :”…ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato…” . Il testo di quel comizio è disponibile anche in rete e credetemi dopo 2000 anni è ancora attuale.
Si può e si deve fare molto per non perdere la nostra umanità, occorre rompere il silenzio ed uscire dalla rassegnazione. Forse siamo pochi, io non credo, ma se ognuno facesse la sua parte il cambiamento inizierebbe.
Fulvio – volontario Campo Io Ci Sto
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